L'uomo della benedizione
- by AR
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30 luglio 2023
Lettura: Genesi 47:7-10
Mi ha fatto riflettere una frase di Abraham Lincolm: “Non sono gli anni che contano nella vita, è la vita che metti in quegli anni.”
(Genesi 47:7-10) Poi Giuseppe fece venire Giacobbe, suo padre, dal faraone e glielo presentò. E Giacobbe benedisse il faraone. Il faraone disse a Giacobbe: «Quanti sono gli anni della tua vita?» Giacobbe rispose al faraone: «Gli anni della mia vita nomade sono centotrenta. I miei anni sono stati pochi e travagliati e non hanno raggiunto il numero degli anni dei miei padri, al tempo della loro vita nomade». Giacobbe benedisse ancora il faraone e si ritirò dalla sua presenza.
È un testo straordinario: Giacobbe viene presentato al faraone e il testo racconta l’emozionante incontro tra il signore d’Egitto e il padre della promessa.
Il faraone era il capo assoluto e indiscusso venerato in tutto l’Egitto. Era considerato il figlio del dio Ra e quindi una divinità egli stesso. L’evidenza gloriosa del periodo storico faraonico è sotto gli occhi di tutti, e se si considera la linea temporale storica delle fonti egizie, risultano scarse coincidenze con gli eventi raccontati nella bibbia. Che ci siano stati degli oppositori che per alcuni re abbiano operato una “cancellazione” storica, è un dato di fatto.
Il faraone ai tempi di Giuseppe probabilmente è stato tra i più gloriosi. Un uomo che mostra saggezza quando intravede in Giuseppe l’unico capace di organizzare la più grande riserva di grano (…si smise di contarlo perché era incalcolabile) e che nel successivo periodo di carestia (grave in tutta la terra), avrebbe fatto diventare l’Egitto l’unico paese in cui si poteva comprare grano. Un uomo che intravede in Giuseppe un uomo leale stabilendolo come signore di tutto l’Egitto (Tu avrai autorità su tutta la mia casa e tutto il popolo ubbidirà ai tuoi ordini; per il trono soltanto io sarò più grande di te).
Piacque al faraone quando seppe che Giuseppe aveva incontrato i suoi fratelli. Questo faraone amava i legami famigliari. Durante la carestia, il faraone acquistò dagli egiziani tutto il bestiame, tutte le terre e gli egiziani stessi divennero schiavi del faraone. Il faraone in pratica era l’Egitto.
Giuseppe presenta suo padre Giacobbe al cospetto del faraone. È l’incontro tra due stili di vita di vita differenti: l’uno incarna il potere, la sovranità e la condiscendenza; l’altro la precarietà e l’instabilità. L’incontro tra Giacobbe e il faraone è descritto tre capitoli prima dell’inizio del libro dell’esodo, ma tra questi due eventi, per la storia d’Israele, trascorreranno generazioni.
…e Giacobbe benedisse il faraone. Come mai Israele benedice il faraone? Potrebbe essere soltanto una formula convenzionale di saluto o una formula di rispetto di un uomo vecchio verso un uomo potente. In questo contesto né l’una né l’altra interpretazione sono accettabili.
Potifar, andando qualche capitolo indietro nella Genesi, quando fece maggiordomo Giuseppe è scritto (Genesi 39:5): il Signore benedisse la casa dell’Egiziano per causa di Giuseppe e la benedizione del Signore fu su quanto egli aveva, in casa e nella campagna.
Quindi la benedizione di Giacobbe allude al potente dono che Dio conferisce alla famiglia di Giacobbe, il necessario dono della benedizione. Il dono che il potere non possiede e che si può avere solo tramite Israele.
Dio ha conferito ad Israele il dono della benedizione. E senza contraddizione la bibbia afferma che è l’inferiore benedetto dal superiore. (Ebrei 7:7) Ora, senza contraddizione, è l'inferiore che è benedetto dal superiore.
Il faraone quindi, non si trova di fronte un vecchio nomade (così riferirà), e questo lui lo sa bene. Sa, per bocca di Giuseppe, quando questi si trova di fronte al faraone dopo aver trascorso anni in una prigione sotterranea, che è stato Dio a indicargli quello che stava per fare in riferimento alla grande abbondanza e alla carestia che sarebbe sopraggiunta su tutta la terra. Il faraone aveva di fronte a sé Israele, il popolo della promessa fatta ad Abramo, il popolo attraverso il quale Dio ha manifestato la sua benedizione a tutti quelli che oggi ripongono la propria speranza in Cristo.
Il tema principale di questo stralcio di scrittura è proprio la benedizione di Dio. Sono infinite le promesse di benedizioni che ci vengono ripetute nella Bibbia.
(Geremia 17:7) Benedetto l'uomo che confida nel SIGNORE, e la cui fiducia è il SIGNORE!
Non confondiamo la benedizione con il successo. Sono due cose distinte. Ci sono movimenti religiosi che fanno credere che chi ama Dio e compie la sua volontà non gli può accadere nulla di male (il vangelo della prosperità). Anche chi ama Dio può ammalarsi e avere difficoltà, e questo non significa affatto che non è benedetto.
Quando Giacobbe andò via di casa aveva circa trent’anni. E adesso gli viene chiesto: Quanti sono gli anni della tua vita? Giacobbe rispose al faraone: «Gli anni della mia vita nomade sono centotrenta. I miei anni sono stati pochi e travagliati e non hanno raggiunto il numero degli anni dei miei padri, al tempo della loro vita nomade.
Giacobbe dichiara che i suoi giorni sono stati pochi e travagliati, ma gran parte di quegli anni travagliati se li era procurati da sé.
Giacobbe, il soppiantatore (per il fatto che era nato tenendo per il tallone il fratello gemello, come per non voler restare indietro), il nomade. Successivamente all’inganno escogitato da sua madre Rebecca per ingannare Isacco e far sì che la benedizione promessa a Esaù ricadesse su Giacobbe, la sua vita ha avuto ben poca gioia.
Per scampare dal fratello che voleva ammazzarlo fu costretto a lasciare la casa del padre; fu raggirato dallo zio Labano e costretto ad andarsene via come un ladro. Dovette assistere alla meschinità del figlio Ruben che pur volendo liberare Giuseppe dalle mani dei loro fratelli per restituirlo al Padre (che volevano ucciderlo), si rese complice della presunta morte di Giuseppe. E alla fine Giacobbe fu costretto dalla carestia a emigrare in Egitto per morire in terra straniera.
Giacobbe, l’uomo che rimase solo, e un uomo lottò con lui fino all'apparir dell'alba… e alla fine disse, "ho veduto Iddio a faccia a faccia, e la mia vita è stata risparmiata". (Genesi 32:29–30) e in questa lotta forzò Dio a benedirlo. Giacobbe vince e Dio gli dà il nome di Israele.
Giacobbe, l’uomo che ebbe una visione incredibile: vide una scala che scendeva dal cielo giù sulla terra, con degli angeli che andavano e venivano dal trono di Dio facendo il Suo volere, raffigurazione che Dio sta compiendo la sua volontà. Come allora, oggi questi angeli sono ancora all’opera; come allora, oggi ci viene ricordato quello che Dio disse a Giacobbe: (Genesi 28:14-15) La tua discendenza sarà come la polvere della terra e tu ti estenderai a occidente e a oriente, a settentrione e a meridione, e tutte le famiglie della terra saranno benedette in te e nella tua discendenza. Io sono con te, e ti proteggerò dovunque tu andrai e ti ricondurrò in questo paese, perché io non ti abbandonerò prima di aver fatto quello che ti ho detto.
Il faraone aveva di fronte Giacobbe, l’uomo che aveva un seguito di appena 70 persone, ma che di fatto era l’uomo della benedizione.
La durata della vita dei patriarchi è una cosa che colpisce e appare assolutamente fuori da ogni realtà e non vorrei addentrarmi in significati simbolici o cose del genere che altri affermano. Giacobbe morì quando aveva 147 anni.
C’è un particolare della morte di Giacobbe. (Genesi 49:33) Quando Giacobbe ebbe finito di dare questi ordini ai suoi figli, ritirò i piedi nel letto, spirò e fu riunito al suo popolo.
(Ebrei 11:21) Per fede Giacobbe, morente, benedisse ciascuno dei figli di Giuseppe e adorò appoggiandosi in cima al suo bastone.
Giacobbe è l’unico campione della fede a essere ricordato come adoratore. Un uomo che con la grazia di Dio ne aveva fatta di strada. L’ex-soppiantatore ha concluso la propria esistenza terrena con un atto di adorazione e presto si sarebbe incamminato verso orizzonti di gloria.
Questo testo ci ricorda che noi siamo figli del dono della benedizione che Dio ha fatto al popolo d’Israele. Che questa benedizione noi la realizziamo nell’opera di Cristo, Dio incarnato, morto sulla croce, e risorto. L’apostolo Paolo scriverà agli Efesini queste bellissime parole che sono proprio la sintesi della benedizione che abbiamo ricevuto in Cristo:
(Efesini 1:3-14) Benedetto sia il Dio e Padre del nostro Signore Gesù Cristo, che ci ha benedetti di ogni benedizione spirituale nei luoghi celesti in Cristo. In lui ci ha eletti prima della formazione del mondo perché fossimo santi e irreprensibili dinanzi a lui, avendoci predestinati nel suo amore a essere adottati per mezzo di Gesù Cristo come suoi figli, secondo il disegno benevolo della sua volontà, a lode della gloria della sua grazia, che ci ha concessa nel suo amato Figlio. In lui abbiamo la redenzione mediante il suo sangue, il perdono dei peccati secondo le ricchezze della sua grazia, che egli ha riversata abbondantemente su di noi dandoci ogni sorta di sapienza e d'intelligenza, facendoci conoscere il mistero della sua volontà, secondo il disegno benevolo che aveva prestabilito dentro di sé, per realizzarlo quando i tempi fossero compiuti. Esso consiste nel raccogliere sotto un solo capo, in Cristo, tutte le cose: tanto quelle che sono nel cielo, quanto quelle che sono sulla terra. In lui siamo anche stati fatti eredi, essendo stati predestinati secondo il proposito di colui che compie ogni cosa secondo la decisione della propria volontà, per essere a lode della sua gloria; noi, che per primi abbiamo sperato in Cristo. In lui voi pure, dopo aver ascoltato la parola della verità, il vangelo della vostra salvezza, e avendo creduto in lui, avete ricevuto il sigillo dello Spirito Santo che era stato promesso, il quale è pegno della nostra eredità fino alla piena redenzione di quelli che Dio si è acquistati a lode della sua gloria.