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Avviso di tempesta

Avviso di tempesta

by AR
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13 aprile 2023
Lettura: Atti 1:1-11; 2:1-4

Giona, figlio di Amittai, è identificato come un profeta originario di Gat-Efer (una città nel territorio Israelita sulla riva occidentale del mar di Galilea). Il libro omonimo è unico nel suo genere in quanto è una narrazione che ci parla della storia tra Giona e Dio. Gesù stesso fece riferimento a Giona quale segno della sua morte, sepoltura e risurrezione (Matteo 12:40; Matteo 16:4).

Giona venne chiamato a proclamare la distruzione della città di Ninive se i Niniviti non si sarebbero convertiti dalla loro malvagità. Ninive, aveva fama di città violenta e terrore, ed era quindi comprensibile che un profeta israelita potesse essere riluttante ad accettare una missione in una città definibile come il nemico per antonomasia.

Quando Dio disse a Giona di recarsi a Ninive, il profeta quindi si dirige in direzione opposta, verso il porto marittimo di Iafo (odierna Giaffa). Giona comprese, con la sua esperienza, che 1) è impossibile allontanarsi dalla presenza di Dio, 2) è impossibile sottrarsi dai compiti che Dio gli ha assegnato; 3) è impossibile sottrarsi all’amore di Dio.

(Salmo 139:7-10) Dove potrei andarmene lontano dal tuo Spirito, dove fuggirò dalla tua presenza? Se salgo in cielo tu vi sei; se scendo nel soggiorno dei morti, eccoti là. Se prendo le ali dell'alba e vado ad abitare all'estremità del mare, anche là mi condurrà la tua mano e mi afferrerà la tua destra.

La prima scena che vediamo nel libro di Giona, quindi, è il tentativo di fuggire dalla presenza di Dio. Ci troviamo quindi su una nave diretta verso Tarsis e la seconda scena si apre con un progressivo peggioramento del tempo, tale che la nave era sul punto di sfasciarsi.

(Giona 1:4) Il SIGNORE scatenò (lett. scagliò) un gran vento sul mare, e vi fu sul mare una tempesta così forte che la nave era sul punto di sfasciarsi.

(Giona 1:11) …Il mare infatti si faceva sempre più tempestoso.

I personaggi principali sono i marinai. Osservando il testo, notiamo che si tratta di uomini pratici, devoti e pacifici. La loro prima reazione è stata di provare paura e subito cominciarono a pregare ciascuno il proprio dio. Il fatto che veneravano vari déi ci fa comprendere che erano uomini pagani e che senza dubbio provenivano da paesi diversi. Oltre a provare paura, i marinai cominciarono a gettare il carico di bordo per alleggerire la nave. Questo è l’atteggiamento tipico di chi prega come se tutto dipendesse da Dio, ma agisce come se tutto dipendesse da lui.

(Giona 1:6) Il capitano gli si avvicinò e gli disse: «Che fai qui? Dormi? Àlzati, invoca il tuo dio! Forse egli si darà pensiero di noi e non periremo».

Anche per quanto riguarda il capitano, il narratore tiene ad evidenziare che non è di religione israelita, ma che tuttavia è un uomo pio che esorta Giona ad invocare il “suo Dio”.

(Giona 1:12-13) Egli rispose: «Prendetemi e gettatemi in mare, e il mare si calmerà per voi; perché io so che questa gran tempesta vi piomba addosso per causa mia». Tuttavia quegli uomini remavano con forza per raggiungere la riva; ma non riuscivano, perché il mare si faceva sempre più tempestoso e minaccioso.

Emerge un’altra caratteristica dei marinai: si mostrano compassionevoli nei confronti di Giona continuando a remare con forza per raggiungere la riva. Alla fine decidono di gettare il profeta in mare, ma non senza avere pregato il Signore per timore di potersi macchiare di spargimento di sangue innocente.

(Giona 1:14-16 ) SIGNORE, non lasciarci perire per risparmiare la vita di quest'uomo e non accusarci del sangue innocente; poiché tu, SIGNORE, hai fatto come ti è piaciuto… poi presero Giona, lo gettarono in mare e la furia del mare si calmò. Allora quegli uomini furono presi da un grande timore del SIGNORE; offrirono un sacrificio al SIGNORE e fecero dei voti.

Quando il mare si calmò, la grande paura che i marinai avevano provato per la tempesta, si trasforma in una grande paura del Signore.

In questa parte di narrazione, Giona è l’israelita, che entra in scena tardi e ne esce presto. Il suo comportamento è in netto contrasto con quello dei marinai: se questi erano sul ponte per salvare l’imbarcazione, Giona dorme profondamente in fondo alla nave. Inoltre, mentre i marinai pregavano, non si ode una sola parola di preghiera da parte di Giona.

L’aspetto teologico è che i marinai sono descritti in relazione alla loro religione, e anche Giona, quando è messo alle strette, fa questa dichiarazione:

(Giona 1:9) Egli rispose loro: «Sono Ebreo e temo il SIGNORE, Dio del cielo, che ha fatto il mare e la terraferma».

Se è vero che Giona è in grado di parlare di Dio, a differenza dei marinai non parla a Dio. Ciancia di teologia, ma non prega. Sa fare delle osservazioni teologiche, ma sta fuggendo. Da un lato ci sono uomini che mostrano di essere compassionevoli in quanto resistono al fatto che l’unico modo per salvare la propria vita è quello di sacrificare la vita di un individuo, che mostrano di essere devoti e quando sono in difficoltà, pregano, uomini pratici perché cercano in tutti i modi di arginare i danni della tempesta sulla nave. Dall’altro lato c’è un uomo di Dio che sa fare solo osservazioni teologiche.

Forse potremmo giudicare le preghiere di questi uomini insufficienti dal punto di vista dottrinale, ma quello che constatiamo è che sono persone aperte ad una conoscenza di Dio.

(Giona 1:16) Allora quegli uomini furono presi da un grande timore del SIGNORE; offrirono un sacrificio al SIGNORE e fecero dei voti.

Hanno coltivato questa loro nuova fede? Avranno mantenuto i voti? Non possiamo dirlo. Possiamo affermare che Giona, il membro del popolo di Dio (che potremmo identificarlo con l’israelita, o il luterano, o il cristiano evangelico, o il metodista, etc.), sa parlare di religione, ma in caso di emergenza non si può contare né sulle sue preghiere, né sul suo aiuto concreto. Un uomo arreso e che sta fuggendo da Dio.

Qual è l’esortazione per chi si identifica come un membro al popolo di Dio? Forse come Giona si ha un atteggiamento pregiudizievole nei confronti del mondo? Sappiamo parlare di “religione”, ma concretamente stiamo fuggendo dalla missione che Dio ci ha dato? Così Giona, senza successo di sottrarsi alla volontà di Dio, per punizione viene gettato in mare. Se la storia fosse finita qui, come era possibile, allora il senso di tale narrazione sarebbe stato questo: non disobbedire al Signore. Invece la storia continua: Dio incarica un grosso pesce di inghiottire Giona.

(Giona 2:1) Il SIGNORE fece venire un gran pesce per inghiottire Giona: Giona rimase nel ventre del pesce tre giorni e tre notti.

Dobbiamo immaginarci Giona sano e salvo che, seduto dentro quell’immensa creatura marina, prega. Giona stette nel ventre del pesce per tre giorni. Il miracolo non consiste tanto nel fatto che un pesce possa inghiottire un uomo, ma che l’uomo sopravviva ai suoi processi digestivi. In questo salmo narrativo notiamo che Giona da una sua versione dell’accaduto: dietro al fatto che fu gettato in mare, c’era la mano del Signore. Infatti dopo l’introduzione, il salmo descrive la situazione angosciosa in cui si trovava in quel momento Giona:

(Giona 2:4-7a) Tu mi hai gettato nell'abisso, nel cuore del mare; la corrente mi ha circondato, tutte le tue onde e tutti i tuoi flutti mi hanno travolto. Io dicevo: "Sono cacciato lontano dal tuo sguardo! Come potrei vedere ancora il tuo tempio santo?" Le acque mi hanno sommerso; l'abisso mi ha inghiottito; le alghe si sono attorcigliate alla mia testa. Sono sprofondato fino alle radici dei monti; la terra ha chiuso le sue sbarre su di me per sempre;

L’ultima discesa di Giona è quella dell’oltretomba. Un’immagine in cui per Giona non c’è possibilità di fuga perché chiuso da pesanti sbarre di ferro che non danno alcuna via di scampo. Il salmo da un idea chiara della situazione grave in cui si trova Giona: (v. 3 dal fondo della mia angoscia… dalla profondità del soggiorno dei morti)

Allo stato di angoscia di Giona, segue la liberazione. Dio dopo aver risparmiato a Giona la morte per annegamento, gli concede un’altra possibilità sulla terra ferma. L’affermazione sul Signore come fonte di liberazione viene riassunta nel seguente verso

(Giona 2:10b-11) La salvezza viene dal SIGNORE». E il SIGNORE diede ordine al pesce, e il pesce vomitò Giona sulla terraferma.

(Giona 2:9) Quelli che onorano gli idoli vani allontanano da sé la grazia;

Il termine ebraico che traduce “salvezza” o “liberazione” è Yeshua, mentre la parola grazia (trad. Hesed) ha il significato di amore inteso come misericordia ed è sempre utilizzata in riferimento a Dio stesso. Quindi, il verso assume il seguente significato: quelli che onorano gli idoli vani, allontanano da sé Dio stesso.

È un messaggio rivolto a chi vede naufragare la propria vita, a chi ha toccato il fondo perché ha perduto una persona cara o ha sperimentato un fallimento matrimoniale o una disgregazione famigliare. Come Giona si può essere responsabili della propria crisi, ma il salmo di Giona ci ricorda che in una situazione disperata come quella in cui si era venuto a trovare il profeta, l’unica cosa che si può fare, è quella di pregare.

Tutto il mondo è in agitazione e assistiamo sempre di più a cambiamenti improvvisi e imprevedibili: guerre, rivolte, argomenti di scottante attualità come l’aborto, la propaganda gender, il diffondersi di malattie… Siamo in piena tempesta o forse queste sono solo avvisaglie?

Ci sono due episodi, riportati negli evangeli, in cui Gesù calma la tempesta. In uno dei due episodi. Gesù obbliga i discepoli a salire sulla barca e precederlo all’altra riva. La barca era in mezzo al mare e i discepoli si affannavano a remare perché il vento era loro contrario. I discepoli videro Gesù camminare sul mare furono sconvolti, ma Egli rivolse loro queste parole:

«Coraggio, sono io; non abbiate paura!»

"Sono Io": queste parole, uscite dalla bocca del nostro Signore Gesù Cristo, hanno rassicurato i discepoli in balia della tempesta e hanno anche, in molte occasioni, restituito la serenità e la pace all'anima di migliaia di credenti colpiti dalle prove e dalle afflizioni di questa vita.

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